Wiliam Shaw si alzò, lo fissò negli occhi inarcando le sopracciglia folte e scure, afferrò il manoscritto e lo sbatté sulla scrivania. Don Tellerman spalancò la bocca, quel plico di fogli maltrattati era il suo manoscritto. Quel colpo era uno sparo alla tempia delle sue speranze. Shaw digrignava i denti continuando a fissarlo, le pupille ristrette, le sue narici fremevano. Don deglutì, fece per parlare, ma Shaw alzò una mano intimandogli di tacere, poi espirando profondamente si risedette sulla poltrona.
“Don, Don, che ti è successo?” Shaw sorrise, ma quei solchi fra le sue sopracciglia aggrottate continuavano a preoccupare Tellerman. “È il terzo racconto che mi tocca rifiutarti. Cosa ti salta in mente?” il dispiacere nella sua voce era commovente, ora avrebbe dovuto cercare qualcos’altro per riempire quel buco di 5 pagine su “Fantastic world” e come Tellerman sapeva avrebbe dovuto ricorrere a qualche scrittore che si faceva pagare più di lui. Shaw era un editore che amava l’arte, quella che preferiva era l’arte di sottopagare gli autori. Continue reading »
Solo il ventilatore scassato del vecchio Ed segnava con il ritmico rumore delle pale lo scorrere del tempo nell’aria, altrimenti immobile, dell’assolato pomeriggio. Il vecchio Ed aveva cercato di ripararlo, ma quando aveva chiamato la ditta produttrice gli avevano risposto che quel modello era considerato da museo e non esistevano quindi più ricambi. Così l’aveva lasciato stare, tanto girava comunque, ma il suo asse di rotazione, non più stabilmente fissato come avrebbe dovuto essere, migrava pigramente come una precessione degli equinozi in scala ridotta con un periodo di cinque secondi, portando periodicamente una delle pale ad urtare contro la griglia di protezione.
Il vecchio Ed, il suo non era solo un soprannome, era realmente vecchio essendo giunto all’invidiabile età di 102 anni, usci sotto il sole cocente coprendosi la testa con il suo Stetson e attraversò con calma la piazza silenziosa dirigendosi verso un viottolo sterrato che portava alla stalla. Si guardò attorno scuotendo la testa, i suoi concittadini erano certo rintanati nelle loro case a godersi la stramaledetta aria condizionata, nessuno che usasse più un ventilatore. “Dannata aria condizionata.” il vecchio Ed sputò sull’asfalto un po’ di saliva, che evaporò sfrigolando talmente in fretta che gli venne da chiedersi se fosse arrivata a toccare il suolo. L’aria era opprimente, un cappa di calore asfissiante avvolgeva da giorni la contea, ma cionondimeno i cavalli avevano bisogno di qualcuno che si occupasse di loro e il vecchio Ed non pensava che il caldo fosse una scusa sufficiente per starsene li sfaccendati a respirare l’aria fredda e puzzolente di “finto” di un condizionatore. Dovette però ammettere con se stesso che era davvero caldo; il cappello, la leggera camicia a scacchi e jeans sdruciti che indossava lo proteggevano dai raggi del sole, ma respirare quell’aria afosa era realmente faticoso. Non era solamente calda, aveva in sé qualcosa di malsano che opprimeva lo spirito oltre che il fisico e faceva nascere pensieri malati. Scosse di nuovo la testa, come per schiarirsi le idee e aprì il portone della stalla. Continue reading »
Il suo cuore pulsava all’impazzata, pompando furiosamente si ripercuoteva nella gola, nelle tempie, nei polsi, perfino nei polpastrelli. Camminava rasente al muro guardandosi continuamente attorno con movenze da uccello, rapidi scatti della testa seguiti da istanti di immobile fissità dello sguardo, pronto a cogliere ogni indizio di movimento. Nonostante i suoi sforzi nulla gli permetteva di capire se fosse riuscito a distaccare il suo inseguitore. Un breve fruscio, un’ombra che ai suoi occhi sembrava muoversi, un alito di vento nell’aria altrimenti immobile della notte, bastavano per provocargli nuove scariche d’adrenalina. Solo per un attimo aveva intravisto una figura stagliarsi nel chiarore lunare, poi più nulla. Vagava ormai da una decina di minuti cercando disperatamente di attirare l’attenzione di qualcuno, ma nelle stradine della periferia in cui si trovava aveva scorto solo gruppetti di individui così poco rassicuranti che aveva preferito proseguire la sua fuga solitaria. Possibile non ci fosse in giro nessuno? E tutte le lamentele che leggeva sui giornali per gli schiamazzi nei bar? Pareva che proprio quella notte tutti avessero deciso di tapparsi in casa.
Me ne stavo seduto sotto il portico a guardare il piccolo orto che avevo rubato alle erbacce. Non che ne fossi particolarmente orgoglioso o che meritasse di essere contemplato, era solo la direzione più comoda verso cui posare lo sguardo. Le assi del pavimento scricchiolavano paurosamente a ogni movimento della sgangherata sedia a dondolo che sosteneva controvoglia la mia persona. Per fortuna non ero affatto grasso, ma anche così ero certo si sarebbe sfasciata se solo avessi preso in mano un libro per colpa del peso aggiuntivo. Continue reading »
Caoticamente convertito e stremato ho raggiunto
il
giunto rastremato al vertice del caos.
E lì abbandono il dono
dubbio
di un eterno ritorno
Sonny O
[Cos’è che ho detto?] – 2013
credevo di poter scordare
il tuo sorriso dispensato ad arte
per lasciarti ho voluto morire
ma mi hai riportato qua
con gesti stanchi ho scavato
la mia tomba nella terra scura
hai sollevato la mia pietra
solo per essere adorata ancora
non mi hai mai chiesto perché
forse non te n’è mai importato molto
o forse sapevi meglio di me Continue reading »
«Io non ti amo»
«E allora? Io amo te»
William Somerset Maugham
Si ritorce nella mia mente…
ritorna, ritorna sempre, si sovrappone agli altri pensieri, si accavalla ad essi, li spinge via, con la delicatezza di un alito di vento e la forza inarrestabile della marea. Un rampicante che si abbarbica ad ogni pensiero, un albero che cresce occupando lentamente tutta la mia giornata.
Davvero può essere così l’amore?
Posso io amare così? Posso esserne capace?
Io, proprio io, io che ho sempre deriso la gelosia e la stupidità di chi brama di possedere qualcuno, io che ho incontrao lei el’ho desiderata in modo così totale da diventare geloso, alla follia se non fossi già stato folle di lei, ma forse ero già folle anche prima.
Geloso dei suoi sorrisi e delle piccole rughe che facevano nascere attorno ai suoi occhi, geloso dei suoi pensieri, desideroso di esserne parte come lei fa parte dei miei, geloso dei suoi capelli, della sua voce, dei suoi silenzi. Geloso della sua pelle e dei mille percorsi sempre nuovi che le mie dita tracciavano su di lei, geloso delle sua mani, delle sue dita che volevo intrecciate solo alle mie, geloso dei suoi polsi sottili, così dolci da sfiorare con le labbra, così ribelli stretti fra le mie mani , geloso dei suoi piedi, geloso dei suoi occhi e di ciò che guardavano, geloso del suo naso, geloso perfino del suo respiro che anelavo costringere nella mia bocca, geloso di quel luogo misterioso e senza nome, quel punto sul collo proprio sopra lo sterno fra quei due muscoli che di nome ne hanno anche troppo, sternocleidomastoidei e che forse proprio per questo ha potuto conservare il fascino arcano dell’ignoto.
Io che ho creduto di dover smettere di amarla quando lei ha smesso di amarmi.
Io che credevo di esserci riuscito e mi sono scoperto ad amarla di nuovo.
Io che l’ho odiata, l’ho dimenticata, cancellata, ritrovata, io che l’ho cercata in ogni donna incontrata, io che l’ho scoperta in ogni sguardo, in ogni sorriso, in ogni voce colta per strada.
Come si può amare senza pretendere di essere amati?
È una follia, lo so, eppure… io sono matto, dicono che io lo sia. Non so distinguere la realtà dalla fantasia, è scrittto da qualche parte, forse su una cartella clinica, o forse una tavoletta d’argilla sumera.
Ma voglio essere folle seì potrò continuare ad amarla, se potrò imparare ad amare senza esigere il possesso, ad amarla così tanto da amare la sua libertà. La sua libertà, si, la libertà di dimenticarmi, di non volermi, di non vedermi neppure, libera, di non desiderarmi, di non pensarmi, libera.
Non mi ami? E allora? Io a mo te…
Sonny O
[inedito medio] – 2013
Ho camminato solo
sulla riva di oceani disseccati
ho camminato solo
lungo i sentieri della via lattea
ho camminato, solo
Ho camminato solo
fra le lacrime e le risate
ho camminato solo
sulle affilate lame della vita
ho camminato, solo
Ho camminato solo
in ogni istante del tempo
ho camminato solo
ma in compagnia di tutti i me stesso
abbiamo camminato, assieme
Sonny O
[la compagnia del cervello] – 2012
Try to forget me
I will try to forgive you
I am the worst part of you
I am your wild side
I am your wild side
Sitting on the grass
under a wicked* half moon
I’ll look for your eyes
Walking hidden in snow
whispering words in the wind
I will call your heart and your mind
For eons I can wait
buried deep inside you
I am the best part of you
I am your wild side
I am your wild side
Sonny O
[inedito] – 2012
*wicked è usato qui in modo ambivalente con significato di malvagio o bellissimo così come la luna mezza che è metà luminosa e metà oscura
(trascritta a memoria, eventuali errori e imprecisioni sono da attribuire al sottoscritto e non all’autore)
ho camminato su un alito di vento
so dove devo andare
ho corso nelle tempeste
ma non so dov’è
Sonny O
luoghi – [2012]